Spero valgano anche i racconti dei vecchi parti...
Una luce abbagliante, puntata sul viso sofferente, mi accecava gli occhi, amplificava il dolore, ormai insopportabile: la distrazione di un’ ostetrica svogliata, rendeva il mio compito più difficile. Tre ore prima, mi ero presentata al blocco ostetrico, dichiarando le doglie di un parto che si presentava delicato, e con la voce piena d’orgoglio avevo comunicato di essere una precesarizzata, due volte precesarizzata.
Termini tecnici, che ormai mi risultavano familiari: il viaggio di Camilla era il mio terzo parto. Conoscevo, quindi, le esternazioni dei ginecologi, che visitandomi all’ inizio di un travaglio, con mia delusione, sentenziavano “Signora, è pervia al dito”. Sapevo, così, fin troppo bene, che trovarmi , con patimenti che facevano solo aspirare alla più pesante droga che potessero somministrarmi e con un utero aperto esclusivamente per il passaggio di un dito, non era sintomo di una nascita rapida! Nove mesi per accarezzare l’idea di un parto spontaneo, dopo due cesarei; avevo già polemizzato con un intero ospedale, preso da sola le informazioni che documentavano il mio desidero possibile, non avrei buttato tutto all’aria perché il mio utero e Camilla, non avevano fretta. Ero scesa a compromessi con i sanitari:-A travaglio iniziato di corsa in ospedale e attaccata sempre al monitoraggio, nessun tipo di anestesia, nel tuo caso non si può.
Quello era il momento per far tacere le mie paure, la rabbia per non essere sostenuta, fin dal mio arrivo, quando un’ infermiera, all’ingresso della sala parto, aveva urlato alle sue colleghe:- Ragazze, lei sarà il quarto cesareo della giornata!
Fai tacere le paure, la rabbia, aiuta la tua bambina ad intraprendere il suo primo viaggio, trovate insieme la via. Questi erano i miei pensieri, mentre la luce accecante, provava a far cedere il mio fisico stanco, provato da sofferenze, che ormai, non riuscivo più a localizzare. Tenuta legata al monitoraggio (ormai l’avevo promesso!), potevo muovermi in un metro quadro, sembravo una fiera che va su e giù nervosamente, aspettando di consumare il suo pasto: io aspettavo mia figlia. La immaginavo compiere la sua impresa, sconvolta davanti all’ imprevisto di una tale pressione, ma istintivamente pronta, a respirare la stessa aria di sua madre. L’istinto è ciò che lega due esseri umani, che hanno condiviso le stesse viscere; prima dell’ amore, si ha solo la certezza di scegliere la stessa strada. Il corpo si contorce, soffre, danza inconsapevole, per trovare il modo, la soluzione comune per un abbraccio infinito. Accucciata ai piedi di una branda ho rivissuto la mia nascita, ho sentito i lamenti di mia madre e di tutte le donne che prima di me si erano lasciate andare alle leggi primordiali della natura. Attimi infiniti, lasciavano, ogni tanto, spazio allo sconforto, ma poi riprendevo forza, la voglia di dimostrare a chi fa della maternità una malattia da curare, con farmaci, tagliando e cucendo pance, che io avrei accompagnato quell’ esserino tenace, verso l’uscita, solo aspettando che fosse pronto. Questione di pazienza, il mio non era un capriccio, volevo riprendermi la calma, la vera funzione del mio essere e proprio nel momento in cui credi di non farcela e ti abbandoni, è lì che succede, la strada è aperta, tutto avviene…
Un liquido caldo mi bagnava le cosce, ora anche la parte più incredula di me aveva smesso di tormentare la ragione e si lasciava andare ad un estremo bisogno di spingere. Ricordo le facce meravigliate delle ostetriche, la mia bambina era venuta alla vita e le aveva conquistate: Camilla appoggiata sulla mia pancia, faceva tenerezza.
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SCHEDA DEL PARTO
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Informazioni Aggiuntive
località del parto: ?
data racconto: 30/04/2014
anno parto: 2005
feti n°: 1
parto n°: 3
tipo parto: vaginale
settimane:
struttura: ospedale
Tag
con epidurale
VBAC
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Altri racconti qua: raccolta racconti del parto